Questa semplice notte è nostra

Questa notte, tra i due santi che d’amore avvolgono ma in maniera diversa, la dedico a chi guarda il suo cuore spezzato. A chi ascolta le canzoni e le playlist che aveva dedicato o sono state dedicate. E che aveva sapientemente ignorato per tanto tempo. La dedico a chi, camminando, pensa di incrociare un suo vecchio amore, anche sa sa che vive in altri pianeti e continenti. E vive con quel battito accelerato tra il desiderio di e il desiderio di non. Tra il tasto del play di foto e quello del cestino. Tra il perché e il maledire. La dedico a chi danza tra le proprie macerie, piangendo sporcandosi con un po’ di vergogna racchiusa in quei pugni, per farsi forza. Tra ricordi che sì e ricordi che meglio di no. Questa notte, questa semplice notte, è vostra. È nostra.

Scusami, cuore

Ti chiedo scusa, cuore.
Anche se so che non avremmo potuto, e voluto, prendere strade differenti. Perché, anche se la sofferenza e gli errori fanno parte della vita, avrei potuto spaccarti di meno. Avevi il diritto di essere protetto, di non essere sempre gettato oltre questo maledetto ostacolo di cui tutti parlano. Di evitare chilometri inutili, nottate in bianco, risposte mai arrivate, malintesi mai compresi, “no” netti, vedute solo da amico, romanticismo senza speranza, paure e ansie di ogni tipo.
A volte non ci ho davvero potuto fare niente, non è dipeso da me, ma so che mi puoi capire. Avrei una lista infinita di “se” con cui giustificarmi, incolpando il cervello, ma, posso dirti: se non ci fossi stato tu così come sei, muscolo cardiaco imperterrito e perfettamente incastrato tra le mie mille cicatrici, non sarebbe valso neanche un minuto di tutta la mia vita.

Tapparelle

Il sole entrava dalle tapparelle riempiendo il suo corpo di macchioline bianche. Attraversava i fori di quella sorta di scudo, toccando la sua pelle ancora addormentata. E io non muovevo un muscolo, non volevo svegliarla. Sperando che fosse già sveglia, che percepisse questa mia angoscia mattutina, questa mia incertezza sul parlarle o meno. Lasciavo che i raggi del sole, meno timidi di me, la cullassero verso il mondo esterno, senza che si traumatizzasse. E quando il mio cuore batteva più forte, perché immaginava una vita accanto a lei, anche solo sulla stessa via o nello stesso raggio di respiro, mettevo le mie mani sul petto. Come se fossero un silenziatore, per non far capire niente a lei. Che, mentre fingeva di dormire, aveva capito tutto.

Il giro dell’addio

Ogni volta che ho cambiato città in maniera definitiva, o che pensavo lo fosse, date le volte che ho cambiato, ho compiuto un irrinunciabile rituale: il giro dell’addio. In cosa consiste? Il giorno prima, o pochi prima se l’ultimo è impossibile, faccio un giro della città per poterla salutare. Vado in posti che per me sono stati familiari, ma capita di girare anche in zone o anfratti che avevo totalmente saltato. Perché dati per scontati, perché avrei avuto tempo, perché (come un residente nativo) lo reputavo “turistici”. Anche durante il trasferimento più piacevole che ricordi, non c’è mai stata una volta in cui non ci fosse un velo di rimpianto. Come se le azioni compiute fossero legate alla città dove avrei potuto o dovuto compierle. Forse è un modo per scaricare la responsabilità alla città che porta sfiga o cose simili. Con te, Milano, ci avevo già avuto a che fare durante i miei anni universitari. Sappiamo bene il rapporto che abbiamo avuto, tanto che non sei mai rientrata nella rosa delle città in cui vivere. Ma ci sono tornato, non si sa mai. Traslochi, lavori, covid, periodi tranquilli e un po’ meno. Sta di fatto, Milano, che con te vivo cose belle e brutte all’estremo. Più che in altri posti, non conosci mezze misure con me. E ora me ne sto andando di nuovo, con un bagaglio diverso, con una foto diversa da quella che ho scattato poco prima venire di nuovo. Io sono diverso, forse ci siamo presi meglio di quando ero poco più che diciottenne. Stavolta, più dell’altra, ti saluto con dei rimpianti. Come l’altra volta, ti dico e mi dico che non ce ne sarà un’altra, perché sono testardo e irremovibile.
Ma, la mia vena da romantico, mi fa dire: non si sa mai.

Playlist aggiornata! 🙂

Fortuna? No grazie

Ho smesso di credere alla fortuna quando, neanche comportandosi al meglio, succedono cose giuste e lineari a te o a chi vuoi bene. Ho smesso di credere alla fortuna, perché da cose sbagliate ci sono conseguenze negative e basta. Ho smesso di credere alla fortuna, perché dentro di me finivo per covare invidia per chi davvero ne aveva. Ho smesso di credere alla fortuna, perché “avrò più fortuna la prossima volta” è un’amarissima pacca sulla spalla che ti dai quotidianamente. Ed è frustrante. Ho smesso di credere alla fortuna, perché la fortuna e la sfortuna hanno nome e cognome. E può essere benissimo il tuo. Ho smesso di credere alla fortuna, perché se per raggiungere una cosa ti serve 10, stai pur certo che devi impegnarti 50. Ho smesso di credere alla fortuna, perché le cose che ho sempre creduto mi fossero regalate dal niente, avevano un contrappeso smisuratamente inaspettato e grande a confronto. E allora no, non la voglio una fortuna così, se devo pagarla a caro prezzo. Certo, le cose brutte passano. Ma anche quelle belle. Allora non me la costruisco neanche io la fortuna, tenetela per voi.

Ma la mia vita, quella sì che non posso sprecarla.

Arrivo, arrivi

Dalla scaletta dell’aereo, con passi decisi ma emozionati, guardando le vetrate sperando di intravederla. Porta scorrevole, cani antidroga e guardia di finanza. Non ho niente da dichiarare. A loro. Mi guardo intorno, persone con cartelloni, nonne con la pasta al forno in mano. Incrocio degli occhi fra migliaia, sono i tuoi. Sono arrivato. Sul treno, chilometri e chilometri in terre sconosciute, sedili non reclinabili e zaino da campeggiatore che avevo appena comprato. La stazione è minuscola, ma mi sento perso. Mi guardo intorno. Incrocio un volto fra centinaia, è il tuo. Sono arrivato. Pausa pranzo, corro. Non conosci la città, non voglio che parli con sconosciuti. Salgo le scale, corro davanti ai militari. Niente da dichiarare, neanche a loro. Arrivo alla rampa, so che hai la valigia. Ho la barba corta, potrei piacerti. Ma forse non mi riconosci. E magari non ti riconosco io. Scendo gli scalini a sei a sei, giro la rampa, incrocio delle mani fra decine. Sono le tue. Sei arrivata.

Lettera da Braies

Sono tornato tra queste montagne, papà. Ho preso due treni da Bolzano e un bus da Monguelfo per poterci arrivare. Sono venuto qui, dalle montagne e dal lago che, durante i miei anni da adolescente e grandicello, non ho mai sopportato. Perché mi portavano via dagli amici che andavano al mare, dalle ore di sonno e di inutilità che sentivo avrebbero dovuto caratterizzare le mie estati di quei tempi. Sono tornato qui perché, da quando non ci sei più, ho sentito di averti perso. Forse hai scoperto tutte le mie marachelle, forse hai avuto tempo di pensare alle delusioni che ti ho dato. Ma venendo qui, papà, mi sono reso conto che ero io ad essermi perso, ad aver perso tutti e due perché mi sono concentrato su cose stupide ed ero arrabbiato perché non ti riuscivo a sognare. Ma qui, davanti a questo lago, dove le mie lacrime per la tua assenza si mescolano con i colori meravigliosi dell’acqua, ho sentito il tuo calore. E la tua voce che mi chiama per farci una foto o per farci una passeggiata. E ti ho ritrovato papà. E, almeno un po’ , sono certo di aver ritrovato anche me stesso. Lo rifaremo, te lo prometto.

Viva i REM

E mi ritrovo, mentre ascolto i REM che non mi accompagnavano di sera da tantissimo tempo, a scorrere sul pc le foto del loro concerto a Milano ad Assago nel 2005 (si chiamava Filaforum ai tempi, se non ricordo male). Oltre a dimostrare quanto fossi imbarazzante e disagiato da adolescente, con pose al limite delle foto segnaletiche o di gente sotto sequestro che chiede riscatto, mi ricordano quanto fosse stato un regalo incedibile per me. Non mi accompagnò un coetaneo, mio fratello o qualcuno a cui interessasse da pazzi quel gruppo. Mi accompagnò mio padre. Magari era stanco di sentirmi cantare e suonare sempre le loro canzoni e voleva fare una sorta di esorcismo. Ma, la verità, è che lo fece per vedermi felice. E ricordo che non fossi particolarmente meritevole in quel periodo (gli adolescenti non sempre rendono la vita facile). Ma lui era lì, dopo essersi fatto km volontariamente, per regalarmi quel momento. Che non avevo chiesto, ma che mi era piombato da parte sua. E io ero paralizzato durante il concerto, in silenzio religioso quasi in trance, per non perdermi un secondo di quel trio sul palco. Mio padre, invece, ballava e cantava da seduto, mentre io lo zittivo per non distrarmi. Guardando le altre foto con te, papà, mi viene da ridere, pensando a quanto fossi fissato e scemo. E te lo scrivo qui perché so che il blog lo continui a leggere. E mi viene un grande, grandissimo magone, per non aver ballato e cantato con te. Conserverò per sempre quel momento, ricordando di quante cose stupide recriminassi, perché credevo mi fosse tutto dovuto, dimenticando quanto mi era stato dato, solo per vedermi felice. Grazie. E viva i REM!

Fototessera

Quella fototessera che ho tanto cercato, incastrata tra una banconota da 1000 lire con la Montessori faccia a faccia con te, e il biglietto della mia partenza per Milano del 2006.
Mai, come ora, quel reparto cianfrusaglie, è il vano dei miei pensieri più profondi e dei ricordi più belli.

Troppo in fretta

È successo tutto troppo in fretta, faccio fatica a credere sia vero. Alternare momenti in cui sembra tutto come sempre, come se in realtà ti abbia sempre inventato e non fossi esistito e momenti in cui non voglio pensare.
Ma allora cos’è che mi impedisce di chiamarti dopo le 18?
Cosa mi blocca dal cercarti davanti al pc?
Chi mi dice che non debba dirti se il sugo di Picchi era buono o meno?
Forse è immaginare, in modo infantile, che ti sia solo nascosto per farmi spaventare.
Magari la stupida consapevolezza che sia solo un arrivederci.
O la maledetta parte razionale del mio cuore, che ha preso possesso della mia vita, e non vuole smettere di proteggermi.

ANNUNCIO

Ho aperto una pagina per effettuare donazioni all’AIRC in memoria di mio padre. Di seguito vi metto il link 🙂

https://donazioneinmemoria.airc.it/eventi/in-memoria-del-dott-pino-curatola

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